Capita ormai sempre più di frequente che, recandosi presso uno sportello del Centro Unico Prenotazioni (C.U.P.) di una struttura sanitaria pubblica per effettuare la prenotazione di una prestazione sanitaria (ad es. visita specialistica o accertamento diagnostico o anche interventi chirurgici), si sono sentiti rispondere che la prestazione non si sarebbe potuta erogare prima di tempi lunghissimi, persino anni, o, peggio ancora, che l’attività di prenotazione era sospesa. Di fronte a queste situazioni, il cittadino se vuole provvedere alla propria salute, si rivolge al privato pagando la prestazione, oppure abbandona e rinuncia alla prestazione.
Ma curarsi non era un diritto richiamato anche dalla Costituzione?
Forse non tutti sanno che esiste un decreto (D.Lgs. n. 124 del 1998) che regolamenta le liste d’attesa, prevedendo tempi massimi che le aziende sanitarie sono tenute a rispettare per erogare la prestazione.
Nel D. Lgs. 29 aprile 1998, n. 124 viene illustrata la disciplina che indica come poter esercitare il proprio diritto.
In sintesi, se i tempi massimi di attesa superano quelli stabiliti, si può chiedere che la prestazione venga fornita in intramoenia senza dover pagare il medico come “privato”, ma corrispondendo solo il ticket. Un diritto che può essere esercitato per tante tipologie di esami e visite specialistiche (Sono 58 le prestazioni delle quali sono stati definiti i relativi tempi massimi d’attesa).
La differenza di costo è a carico dell’Azienda Sanitaria locale, e se il cittadino ha l’esenzione dal ticket, allora non paga nulla e il costo è a totale carico dell’Azienda Sanitaria locale.
Occorre sapere che il medico prescrittore (che sia di medicina generale-MMG, pediatra di libera scelta-PLS, ecc…) deve obbligatoriamente e precisamente indicare sul ricettario se si tratta di prima visita (o primo esame) ovvero di accesso successivo, il quesito diagnostico (che descrive il problema di salute e motiva la richiesta di effettuare la prestazione sanitaria) e la classe di priorità.
Quest’ultima definisce i tempi di accesso alle prestazioni sanitarie. Vi sono quattro classi : “U” (urgente) per la quale la prestazione è da eseguire nel più breve tempo possibile e, comunque, entro 72 ore; “B” (breve) secondo cui si deve eseguire entro 10 giorni; “D” (differibile) e quindi la prestazione è da operare entro 30 giorni se trattasi di visite, mentre 60 giorni se si discute di accertamenti diagnostici; infine “P” (programmata) secondo la quale deve eseguirsi entro 180 giorni. In caso di mancata indicazione della classe di priorità, la prestazione richiesta è da intendersi di classe “P”.
È quindi importante parlarne preventivamente con il proprio medico di base e chiedere l’apposizione dell’esatta classe di priorità.
Il cittadino provvederà poi a richiedere il rimborso delle spese sostenute – al netto del costo del ticket (ove dovuto), e la richiesta di ricevere la prestazione in intramoenia deve essere presentata al Direttore Generale dell’ASL di riferimento e deve riportare i dati personali dell’interessato, l’accertamento richiesto, la prima data disponibile comunicata in fase di prenotazione, specificare l’urgenza, il proprio diritto a conoscere i tempi massimi intercorrenti tra la richiesta di prestazioni e la loro erogazione.
Ma perché non se ne parla?
Il diritto ad accedere alle cure pubbliche in tempi precisi, nonostante sia previsto dalla legge, nella realtà è ancora troppo poco conosciuto e fortemente ostacolato.
La scarsa trasparenza delle amministrazioni sui diritti dei cittadini, è una prassi consolidata, visto che fa “comodo” prendere tempo e lasciar aspettare. Questa mancanza di informazioni penalizza ancora una volta i più deboli. Sul rispetto dei tempi di attesa, sul corretto esercizio dell’intramoenia e più in generale sul rispetto dei diritti dei pazienti, la strada è ancora lunga e c’è ancora moltissimo da fare, a partire dai controlli, ancora troppo limitati.